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Da “mare nostrum” a “mare plasticum”

  • Immagine del redattore: MAKE .IT
    MAKE .IT
  • 19 giu
  • Tempo di lettura: 2 min

Un mare intrappolato nella plastica: il Mediterraneo raccoglie ogni giorno oltre 600 tonnellate di rifiuti. Il report della IUCN.


Mare e Plastica

"Mare Nostrum": così i Romani chiamavano il Mar Mediterraneo, il “nostro mare”. Un epiteto che esprimeva dominio e appartenenza, ma anche il legame profondo con queste acque, considerate culla e ponte tra le grandi civiltà dell’antichità.

Ed è proprio questo ruolo di crocevia - tra culture, rotte commerciali, popoli - a rendere oggi il Mediterraneo uno dei mari più trafficati al mondo, ma anche uno dei più vulnerabili. Un bacino semi-chiuso, circondato da oltre 20 Paesi, con 450 milioni di abitanti e oltre 400 milioni di turisti l’anno. Un contesto ideale non solo per le vacanze, ma anche - purtroppo - per l’accumulo e la dispersione della plastica.


A denunciarlo è il report The Mediterranean: Mare plasticum”, pubblicato nel 2020 dall’IUCN (Unione Internazionale per la Conservazione della Natura) con l’obiettivo di misurare, per la prima volta in modo sistemico, quanta plastica sia già presente in mare, quanta ne venga scaricata ogni anno e cosa possiamo fare per invertire la rotta.


Lo studio prende in considerazione 33 Paesi, non solo costieri ma anche appartenenti ai bacini idrografici che sfociano nel Mediterraneo. Con una popolazione totale di circa 450 milioni di persone e un’intensa attività turistica e commerciale, il “mare tra le terre” si comporta come una trappola naturale per la plastica: semi-chiuso, con scambi limitati con l’oceano, e un ricambio lento delle acque che favorisce l’accumulo dei rifiuti.


Secondo il report, nel Mediterraneo si sono già accumulate circa 1.178.000 tonnellate di plastica

Ogni anno, infatti, ne finiscono in mare circa 229.000 tonnellate, l’equivalente di oltre 600 tonnellate al giorno. Il 94% di questi rifiuti è composto da macroplastiche - sacchetti, bottiglie, imballaggi, reti da pesca - mentre il restante 6% è costituito da frammenti di microplastica, difficili da individuare ma letali per gli ecosistemi. E sono proprio gli organismi marini a mostrare i segni più evidenti di questa contaminazione: si stima che ogni anno pesci e mammiferi marini ingeriscano oltre 270 tonnellate di plastica, con conseguenze potenzialmente gravi anche per la salute umana. 


I Paesi che contribuiscono maggiormente a questa dispersione sono Egitto, Italia e Turchia, in particolare nelle zone costiere densamente popolate o nei pressi delle foci dei fiumi, come il Nilo. Ma il problema, sottolinea il report, non è tanto l’uso della plastica in sé, quanto la gestione inefficace dei rifiuti e la mancanza di infrastrutture adeguate, soprattutto nei Paesi del sud e dell’est del bacino.


Il documento, però, non si limita alla denuncia: propone scenari concreti per ridurre drasticamente l’inquinamento da plastica entro i prossimi vent’anni. Migliorare la raccolta e il riciclo, ridurre l’uso della plastica monouso, intervenire sulle perdite industriali e incentivare la cooperazione internazionale potrebbero abbattere le perdite fino all’80%.


I numeri parlano chiaro: il Mediterraneo rischia di non essere più il nostro mare, ma un mare di plastica. È il momento di agire, affinché quel “Mare Nostrum” torni a essere davvero nostro.


 
 
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