I sardi sono pronti a difendere la loro terra - Sardegna
Le enormi pale eoliche approdate in questi giorni al porto di Oristano hanno riportato il dibattito al centro dell’interesse collettivo: in tutta l’Isola si sta facendo sentire forte il “NO” al piano di installazione di nuovi impianti per la produzione di energia elettrica da fonti rinnovabili, come pale eoliche e sistemi fotovoltaici. Cittadini e comitati si dicono “pronti a difendere il territorio” da quella che molti considerano una speculazione sregolata della loro terra.
A queste voci si uniscono anche quelle delle istituzioni, tra cui numerosi Comuni e la giunta regionale, che lo scorso maggio ha votato per sospendere momentaneamente la realizzazione di nuovi impianti per tutelare l’Isola. “Non c’è alcun intento punitivo per la transizione ecologica, che deve avvenire” aveva affermato in quell’occasione la neo eletta presidente della Regione Alessandra Todde, specificando però come le costruzioni in programma fossero troppe e che era necessario bloccare “la modifica irreversibile del nostro territorio”.
Com’è possibile allora che, nonostante il fermo della Regione, il piano di installazione di nuovi impianti stia proseguendo?
La questione risale al governo Draghi (2021-2022), quando l'allora Ministro della Transizione Ecologica Roberto Cingolani vide nell'Isola il territorio perfetto per un hub di produzione di energia rinnovabile. Con l’obiettivo di adattarsi alle richieste europee per una transizione green, sono state rilasciate numerose autorizzazioni per l'installazione delle pale eoliche e di altri impianti, adottando anche strumenti normativi eccezionali per accelerare la realizzazione del piano.
La transizione verde europea ha imposto anche all’Italia e alla Sardegna obiettivi importanti, ma nell’intero processo decisionale la stessa Regione Sardegna e i suoi cittadini sono stati in larga parte esclusi. E, secondo moltissimi abitanti dell’Isola ed istituzioni, il piano è eccessivo: se infatti tutti gli impianti previsti venissero approvati, raggiungerebbero insieme una capacità totale di 57,67 gigawatt, circa 30 volte il fabbisogno energetico della Sardegna.
E tutto questo ad un costo elevatissimo: le costruzioni richiedono spazi enormi, alterano profondamente il paesaggio, impattano il patrimonio naturale e culturale sardo e le sue aree protette, provocando inoltre una massiccia cementificazione.
Insomma, il “NO” deciso di questi giorni non è urlato con la volontà di bloccare la transizione verde, ma è una forte richiesta da parte dei cittadini sardi ad essere ascoltati e a proteggere la propria terra da delle grosse alterazioni di cui, tra l’altro, beneficerebbero solo in piccola parte. È una richiesta a ripensare l’Isola non come a un terra da sfruttare per la produzione energetica dell’intero Paese, ma come a un territorio da tutelare e preservare e se necessario, come stanno facendo molti cittadini sardi in questi giorni, da difendere ad ogni costo.
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